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mercoledì 2 marzo 2011

Un passo nella storia - Episodio 48

di Roberto Pelucchi
Di Enrico Ameri abbiamo parlato spesso, ma l'articolo che vi propongo questa settimana racconta un Ameri diverso da come lo abbiamo conosciuto. Il pezzo è uscito il 16 ottobre 1993 sulla Stampa ed è firmato da un decano del giornalismo sportivo: Gian Paolo Ormezzano.

Enrico Ameri appiccica alle vicende della sua vita il ritmo delle sue radiocronache calcistiche. Parliamo con lui di lui, fascista combattente di Salò e ora missino, una carrierona in Rai pur non avendo mai nascosto nulla della sua fede politica. Anzi. Nei giorni scorsi il personaggio è venuto fuori per questa testimonianza speciale, che merita un ampliamento ed una rifinitura. Genovese anche se di nascita lucchese, 67 anni, moglie, due figlie, tre nipoti, una vita attiva, con microfoni assortiti, per vincere il coma da pensionamento (fine del rapporto con la Rai nel '91), una lucidità estrema nei particolari, a suo modo un dettaglio personale interessante del complicato affresco italiano degli Anni Quaranta. «Premetto: mi chiamo Enrico Benito Ameri. Mio padre era ufficiale di carriera, combatteva in Libia, un giorno di pallottole fece il voto di portare in una chiesa di Tripoli la statua genovese della Madonna della Guardia se, con i suoi soldati, l'avesse scampata. Andò bene, rispettò il voto, come me era un grande credente, un cattolico praticante. Correva il 1926, io nascevo mentre lui stava in Tripolitania con la copia della statua. Mussolini era in visita da quelle parti, chiese del pellegrinaggio, seppe che io stavo arrivando al mondo, disse a mio padre di battezzarmi Benito, lui ubbidì a metà, Enrico aveva la precedenza, era il nome di uno zio. Io nacqui che mio padre stava ancora laggiù». Enrico Benito Ameri si arruolò diciassettenne nella Repubblica Sociale Italiana, frequentò la scuola per allievi ufficiali della Guardia Nazionale Repubblicana, «il fulcro di quell'esercito». Combattimenti, morti? «Un solo conflitto a fuoco, nel senso che incendiammo una baita sui monti sopra Arona, nel Novarese. Pattugliavamo strade, ma soprattutto cercavamo i partigiani, senza trovarli mai. Arrivammo magari in tempo per mangiare il risotto ancora caldo che loro si erano preparati e che avevano lasciato lì per scappare via. Vicino a quella baita trovammo, nella neve, splendide bistecche ben conservate e un'etichetta «Egidio Galbani di Melzo» che raccontava di un formaggino portato via». In Rai Ameri entrò nel 1950, nel primo dopoguerra aveva studiato legge e aveva collaborato a varie pubblicazioni, «con il problema dei soldi, perché papà era stato epurato». Lo assunse Vittorio Veltroni, il padre del Veltroni comunista di adesso, «gli dissi subito che avevo scritto su Rivolta Ideale, giornale da cui nacque tanta ideologia del movimento sociale, un mio articolo si intitolava "Giù le mani dall'Eritrea!". Non celai, né a lui né ad altri, di avere militato nella Repubblica Sociale Italiana dal 28 ottobre - proprio quel giorno lì del 1943 al 25 aprile del 1945. Né di essere rimasto fascista. E non ebbi mai, per quella mia fede politica, problemi di sorta. Penso di averli tenuti lontani con la mia professionalità, la mia serietà. Ero e sono così innamorato del giornalismo che forse, se mi avessero inviato a fare un reportage in cui si fosse dovuto parlar male della Repubblica Sociale, avrei svolto bene il mio lavoro. O forse mi sarei dimesso, ma senza fare rumore. Tre volte sono stato inviato, io fascista, a celebrare per radio la festa ebraica del Kippur. So di altri che vissero la mia stessa esperienza bellica e che alla Rai hanno avuto successo, anche nel giornalismo sportivo». I nomi? «Nomi diventati famosi alla Rai di tipi che in guerra sapevano attaccare le fortezze volanti americane con aeroplanini che al confronto sembravano insetti. Quasi tutti quei giovani, lasciata la divisa, sono andati avanti bene nella vita, e parlo di medici, avvocati, ingegneri: qualcuno cercando di far dimenticare il passato, qualcuno limitandosi a non strombazzarlo, io di certo senza rinnegarlo mai. Una carriera, la mia, senza lottizzazioni, senza raccomandazioni. E non penso proprio che la diciamo fluidità della mia affermazione sia stata dovuta al fatto che ho lavorato nello sport, un settore a priori asettico quanto a impegno politico. Anche perché io ho eseguito reportages di ogni tipo, ho messo insieme una colossale radiocronaca di uomini e cose facendo il giro del mondo». E se al fascista Ameri avessero chiesto una radiocronaca della commemorazione delle Fosse Ardeatine? «L'avrei fatta sicuramente bene, in me prevale il giornalista». Ameri disegna una Rai quasi idilliaca, dove il passato al massimo era oggetto di commenti scherzosi, cordiali: «Come quando io entrando in ufficio salutavo “camerati”». Disegna anche un suo fascismo particolare, ovattato da una specie di ignoranza. Ad esempio, alla domanda sui rapporti tra soldati della Rsi e nazisti risponde: «Non sapevamo dei crimini nazisti, dei bambini di Marzabotto gettati per aria e sparati. A noi i tedeschi davano solo aiuto. Con altre informazioni, avrei forse cambiato idee e vita, chissà». La militanza missina alla Rai non gli ha dato o tolto nulla. «Casomai mi ha procurato l'amicizia, la stima di Almirante, che sempre mi diceva cose lusinghiere, anche perché gli piacevano le mie radiocronache, era un tifoso juventino appassionato di calcio. Già, proprio uno spettatore bianconero, a Torino, uno che urlava e si sbracciava contro di me in cabina, alla fine di una partita mi chiese se era vero che io ero stato fascista eccetera eccetera. Gli dissi di sì e se ne andò stupito, zittito». Enrico Benito Ameri adesso lavora in un settore nuovo, informazioni e commenti sportivi per telefono. E politicamente vota per Fini, msi, sindaco di Roma. Esclusi suoi comizi, «non sono manco iscritto al partito», pur se la bella voce e le idee precise ci sono.
Gian Paolo Ormezzano

3 commenti:

Fabio Stellato ha detto...

Bella storia, e anche molto attule....se qualcuno dei giornalisti o pseudotali che oggi si occupano di politica in tv prendesse essmpio da Ameri, bhe forse ci sarebbe meno chiasso.....torvatemelo adesso un giornalista di estrema destra che commenti con professionalità un evento che cada contro la sua stessa ideologia.

Anonimo ha detto...

Erano anche altri tempi, come si vede. Certo Vittorio Veltroni non era uno che chiedesse tessere di partito per far parte della redazione radiocronache. Comunque la distanza da Sandro Ciotti non era solo professionale, ma anche di idee politiche. Ma uno come Ameri, le cui idee erano risapute davvero a tutti, chi avrebbe potuto professionalmente discuterlo?
Un'altra piccola considerazione è che nell'attuale redazione sportiva del Giornale Radio (Raisport è un'altra cosa) l'appartenenza politica dei vari componenti non è poi così risaputa. Una bella eccezione, direi.

Claudio

Unknown ha detto...

Il punto non è questo: chiunque potrebbe fare bene il giornalista (ed in pochissimi lo fanno); il punto è che oggi ad uno dichiaratamente fascista non gli farebbero fare nemmeno i servizi sulla nettezza urbana a Merano, visto che se ti discosti appena dal pensiero unico che val PD ed arriva a Forza Italia, dalla Rai ti buttano semplicemente fuori o ti rendono inoffensivo, vedi il caso Bianca Berlinguer ad esempio.

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