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mercoledì 13 ottobre 2010

Un passo nella storia - Episodio 32

di Roberto Pelucchi
Di interviste a Roberto Bortoluzzi ne avrete già lette e noi ne abbiamo ripubblicate in questa rubrica. Però credo che valga la pena anche leggere quella che vi propongo oggi, uscita sull'Europeo del 24 maggio 1986 e realizzata da Giampiero Mughini.

Scusate, mi interrompo

C'è un uomo che sta per divorziare dalla sua voce , nota a milioni di italiani. Roberto Bortoluzzi , inventore e conduttore della trasmissione radiofonica più appassionante d'Italia , quel Tutto il calcio minuto per minuto che trasforma i pomeriggi della domenica in un pozzo d'angoscia , va in pensione. Domenica 27 aprile ha condotto per l'ultima volta le radiocronache del campionato di serie A . Poche domeniche del campionato di serie B e poi Bortoluzzi passerà la mano. A parlargli non ha affatto la voce che tanti di voi riconoscono come la sigla stessa dell'avventura del campionato; è un uomo freddo e misurato, all’anglosassone, lontano quanto più non si potrebbe dai suoi ascoltatori, che ho visto stramazzare o impennarsi di gioia dopo una "Scusa Ameri , scusa Ameri, qui il risultato è cambiato...". Lasciate entrare Bortoluzzi nel bugigattolo al quinto piano della sede Rai di corso Sempione, esattamente lì dove la trasmissione nacque una domenica di gennaio del 1960; lasciatelo sedersi al desk che è esattamente quello, stile anni Cinquanta, di 26 anni fa; accendetegli il microfono, a venti centimetri dal volto, che è ancora quello di 26 anni fa, e solo allora, "Gentili ascoltatori, qui è Roberto Bortoluzzi dallo studio centrale...", nascerà la sua "voce": metallica e calda allo stesso tempo, la più adatta a dirci che stiamo per ascoltare una tenzone d'eroi. Poi la partita finisce, Bortoluzzi saluta gli ascoltatori, esce dal bugigattolo e torna ad essere l'uomo che è: con una voce qualsiasi, non particolarmente ebbro di calcio, uno che non urla né per una vittoria né per una sconfitta e che della vita pensa esattamente quel che pensa di una partita di calcio, e cioè che quando ne hai detto il risultato hai detto tutto. Quanto al resto non ne vale sempre la pena.
Bortoluzzi, prima dell' avvento di "Tutto il calcio minuto per minuto", la Rai come raccontava il pomeriggio calcistico?
"C'era Nicolò Carosio che faceva la radiocronaca del secondo tempo della partita più importante. Alla fine gli portavano un foglio con i risultati degli altri campi, e lui li leggeva. Di chi è stata l'idea di Tutto il calcio minuto per minuto? Difficile ricostruirne la paternità. Io ne parlai con Carosio, con Sergio Zavoli, con Guglielmo Moretti. La nuova formula, uno studio centrale collegato ai quattro campi più importanti, venne giudicata talmente efficace da venire subito applicata alle Olimpiadi romane del 1960. Agli inizi Carosio fece quel che fa oggi Enrico Ameri: la radiocronaca della partita più importante. Carosio è stato un professionista straordinario, il maestro di noi tutti, anche se faceva un po' di fatica negli sport che non fossero il calcio. Se ha fatto bene a dire quella volta, alla fine di una radiocronaca in Inghilterra, “E adesso andiamo a prenderci un bel whiskaccio”? Penso che abbia fatto bene, era una nota di colore che non guastava".
Se lei fosse stato al posto di Carosio l'avrebbe detto ?
"No , io non l'avrei detto".
La nuova trasmissione funzionò subito?
"Le prime puntate erano un po' pesanti, soprattutto per ragioni tecniche. A quel tempo non c'era un collegamento diretto fra lo studio centrale dov'ero io e i vari campi. Per sentire quello che stava succedendo a Palermo, io chiamavo il centralino di Milano che mi passava la Rai di Roma che mi passava lo stadio di Palermo, un'operazione che durava un minuto e toglieva rapidità e freschezza al racconto radiofonico. Per molti anni, poi, la federazione ci impedì la radiocronaca dalla quartultima giornata perché riteneva che sapere in contemporanea i risultati potesse condizionare le partite nell'alto e nel basso della classifica”.
Chi furono i primi radiocronisti?
“C'erano Ameri, Sandro Ciotti, Massimo Valentini, il povero Beppe Viola".
E’ vero che Ameri è uno juventino sfegatato?
"Lo dicono in molti, io non lo credo, né ne ho mai parlato con lui. Probabilmente pensano che sia uno juventino per la foga con cui grida al gol, ma io sono sicuro si tratti di un entusiasmo puramente professionale".
Dal punto di vista professionale, ci sono state delle domeniche particolarmente difficili?
"Una domenica un improvviso sciopero dei centralinisti aveva interrotto la comunicazione tra lo studio centrale e i vari campi. Avevo dato ai miei inviati un numero telefonico al quale chiamarmi per darmi gli aggiornamenti delle partite. Dei buontemponi vennero a conoscere quel numero e mi telefonarono un paio di aggiornamenti fasulli".
A qualcuno dei suoi radiocronisti è capitato mai qualche guaio?
"Ad Ameri, a Firenze. Qualche tifoso distratto aveva creduto che Ameri non avesse dato con sufficiente entusiasmo la notizia di un gol fiorentino".
Ad inizio della trasmissione lei si emozionava?
"Tutte le volte era come se fosse la prima volta. I momenti di maggiore tensione erano quelli iniziali, soprattutto per il timore di problemi tecnici. Superati quelli, il resto filava via . Un tempo c'era una segretaria che durante la trasmissione mi portava silenziosamente un caffè. Negli ultimi anni non più".
Come mai quella sua celebre formula iniziale, "Gentili ascoltatori, qui è Roberto Bortoluzzi...", non conteneva anche un "Gentili ascoltatrici"?
"Sa che in tutti questi anni lei è il primo che me lo fa notare? Sono stato davvero un bel maleducato".
Non avete mai fatto come fanno le Tv private, portare un ex campione accanto al giornalista?
"E stato fatto qualche volta con il Sivori di turno. Non sempre con buoni risultati. S'allunga il brodo e la trasmissione si siede".
Mi spieghi il perché di uno dei momenti più atroci di un tifoso. Il momento in cui il radiocronista che sta parlando viene interrotto dall'arrivo del rumore di fondo di un altro stadio, segno che c'è stato un gol, ma non si sente ancora la voce dell'altro radiocronista a dirci chi ha segnato.
"L'attimo di mancanza di voce cui lei si riferisce può dipendere da due motivi. Siccome i microfoni sono generalmente due, uno panoramico sullo stadio e uno sulla voce del radiocronista, può accadere che il tecnico perda tempo tra l'accensione del primo e l'accensione del secondo. Ma questo accade raramente. Più spesso quel vuoto di voce dipende dal fatto che il radiocronista sta esitando perché non è sicuro, tanto per fare un esempio, se ha segnato Mark Hateley o s'è trattato invece di un autogol. In quei casi, dentro di me grido un: porco giuda!”.
Un'altra stecca della trasmissione è costituita dai momenti in cui un Ciotti sta raccontando i momenti decisivi della partita cardine e viene interrotto da un campo di B dov'è stato segnato un golletto ininfluente...
"In quei casi significa che c'è stato un collega che s'è lasciato prendere la mano, che ha voluto farsi bello dinanzi ai tifosi del campo in cui si trova e non s'è curato dell'interesse generale degli ascoltatori. Così pure, quando su un determinato campo il risultato è 3-0, io potrei anche lasciar fuori quel campo, cosa che non faccio per rispetto del collega che ci sta lavorando. Solo che non sempre ne vengo ripagato, nel senso che non sempre quel collega si limita a dire che la partita sta ancora 3-0, punto e basta".
A questi colleghi che hanno lavorato male, il lunedì mattina lei faceva una ramanzina?
"Sino ad alcuni anni fa facevamo una riunione interfonica il lunedì mattina, commentando il lavoro della domenica. Da molti anni, purtroppo, quella riunione non si fa più".
Lei pensa che lo stesso giornalismo non sportivo ci guadagnerebbe se qualche volta si limitasse a dare il risultato, punto e basta?
"Penso proprio di sì. Non mi sembra che di tutto il resto valga sempre la pena di parlare".
Un giornalista che dà il risultato, punto e basta?
"Il primo nome che mi viene in mente è quello di Indro Montanelli".
Qual è l'addestramento di un radiocronista sportivo?
"Un vero e proprio addestramento non c'è. Chi fa le radiocronache sportive ha seguito gli stessi corsi degli altri giornalisti della Rai. Un Bruno Pizzul viene dallo stesso corso frequentato da Bruno Vespa. Questa mancanza di addestramento specifico rischia di creare dei problemi di avvicendamento generazionale, nel senso che un nuovo Ameri o un nuovo Ciotti io all'orizzonte non li vedo".
Nell'aver fatto del giornalismo radiofonico lei s'è sentito perfettamente realizzato o avrebbe preferito fare del giornalismo televisivo, essere un volto oltre che una voce?
"Al 99 per cento mi sono sentito perfettamente realizzato nel giornalismo radiofonico. Un po' di tv l'avevo fatta all'inizio della mia carriera, ma io sono un timido e preferisco il mistero della radio. Se qualcuno, per strada, mi riconosce dalla voce? Sì, qualche volta mi chiedono: “Ma lei è quel Bortoluzzi che...?”. Il più delle volte dico che sono io . E poi non mi sono mai risentito, salvo una volta. C'era uno, accusato di non so quale delitto, che forniva come alibi il fatto di aver ascoltato Tutto il calcio minuto per minuto, tant'è vero che si ricordava perfettamente del momento in cui era arrivato un certo gol. Venne un maresciallo e ascoltammo insieme il nastro della trasmissione. L'unica volta in 26 anni in cui mi sia risentito".
Ci sono avvenimenti sportivi che la coinvolgono più del calcio?
"Ho seguito undici Olimpiadi, e vi ho vissuto momenti di straordinaria emozione. La vittoria di Pino Dordoni nella 50 chilometri di marcia a Helsinki, nel 1952; oppure le vittorie di Sara Simeoni e di Pietro Mennea a Mosca, nel 1980. A Mosca io stavo nello studio centrale, da dove ero collegato con i vari campi di gara. Qualcuno mi propose di seguire la corsa di Mennea attraverso un monitor ma io preferii ascoltarla nella bellissima radiocronaca di Paolo Valenti".
Alla vittoria di Mennea è saltato in piedi?
"No , né per alcun altro avvenimento sportivo".
E per qualcosa che è avvenuta nella sua vita è mai saltato in piedi?
"Ci sto pensando, ma credo di no".
Se lei fosse stato inviato su uno dei campi, a quale dei radiocronisti di Tutto il calcio avrebbe somigliato?
"Ad Alfredo Provenzali. Sarei stato come lui molto rapido e preciso".
C'è un mio amico che ascolta ogni domenica la sua trasmissione e che se ne emoziona tanto che si mette nella stanza accanto a quella dov'è la radio, pur di creare un minimo di scudo . E il suo ascoltatore ideale o è eccessivamente passionale?
"Mi sembra eccessivamente passionale. Ma ne vale davvero la pena?".
Perché in Italia c'è tanto amore per il calcio?
"Perché in un campo di calcio accade di tutto, perché per due ore dimentichi i problemi della vita, perché negli altri campi c'è tanta pochezza".
Le avevano mai proposto di cambiare la formula della trasmissione?
"Qualche anno fa mi proposero di collegarci con tutti e otto i campi della serie A, cosa cui mi sono opposto nel modo più reciso. Già è farraginoso collegarsi con quattro campi, figuriamoci con otto. Sarebbe divenuta una marmellata anziché la trasmissione precisa e pulita che deve essere. Adesso che me ne vado, può darsi che la cambieranno per non fare come faceva il Bortoluzzi".
Qualcuna delle tv private le ha fatto un'offerta?
"No".
Qual è il miglior complimento che le hanno fatto in 26 anni di lavoro?
"Il miglior complimento me lo sono fatto io, facendo vivere per 26 anni una trasmissione che ha sempre avuto un alto indice di gradimento. Non fosse stata una buona trasmissione, l'ambiente della Rai è tale che mi avrebbero fucilato".
E’ contento di questa intervista?
"Ma ne valeva davvero la pena?".
Giampiero Mughini

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